Da Hiroshima a Pearl Harbor, viaggio nella storia

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Da Hiroshima a Pearl Harbor, viaggio nella storia

Pearl Harbor, Hawaii, la Corazzata Arizona vista dalla USS Missouri

Pearl Harbor, Hawaii, la Corazzata Arizona vista dalla USS Missouri

 

In viaggio da Hiroshima a Pearl Harbor, dal Giappone alle Hawaii. Breve excursus nella storia della Seconda Guerra Mondiale.

 

Circa tre anni fa, abbandonate per qualche ora le spiagge di seta e le acque cristalline di Ohau, l’isola principale delle Hawaii, c’è stata Pearl Harbor.

Ricordo i racconti dei reduci, le parole, talmente cariche di angoscia nonostante siano passati 70 anni, e le singole storie di chi quel 7 dicembre del 1941, in seguito all’attacco a sorpresa giapponese mirato a distruggere la flotta americana nel Pacifico, vide tra morte e disperazione la sua vita cambiare radicalmente.

Pearl Harbor, Hawaii, la Corazzata Arizona vista dalla USS Missouri

Pearl Harbor, Hawaii, la Corazzata Arizona vista dalla USS Missouri

Gli Stati Uniti entrarono in guerra, le sorti del conflitto mondiale mutarono, l’Oceano Pacifico divenne un immenso, mostruoso campo di battaglia tra giapponesi e americani. L’epilogo, tragico e folle, furono le bombe atomiche (le prime in assoluto) sganciate su Hiroshima e Nagasaki e la conseguente resa di un Giappone ormai in ginocchio.

Ricordo il memoriale, i filmati d’epoca, la visita “a bordo” della Corazzata Arizona (al suo interno giacciono ancora i 2000 marines affondati con essa) e le immagini sfocate in bianco e nero, scene apocalittiche di quello che il presidente Roosevelt definì, poco prima di dichiarare guerra al Giappone, Il Giorno dell’Infamia.

Pearl Harbor, Hawaii, l'Arizona Memorial

Pearl Harbor, Hawaii, l’Arizona Memorial

Pearl Harbor, Hawaii In compagnia di Alfred Rodriguez, superstite dell'Arizona

Pearl Harbor, Hawaii
In compagnia di Alfred Rodriguez, superstite dell’Arizona

Quello che più di tutto mi aveva colpito in quell’occasione era stata la storia di un anziano giapponese, uno dei piloti dell’attacco, che ogni anno nel giorno dell’anniversario si recava a Pearl Harbor per, come sosteneva egli stesso, fare ammenda ed i piccoli gruppi di turisti nipponici che, dopo aver scattato qualche foto, si fermavano in religioso silenzio davanti al sacrario dell’Arizona, come in preghiera.

Un’mmagine che ho portato con me per anni e che, potente e carica di speranza, si é sorprendentemente ripresentata ai miei occhi poche settimane fa durante la visita al Memoriale della Pace di Hiroshima, in Giappone.

Il Cenotafio in memoria delle vittime di Hiroshima, in prospettiva la fiamma perenne e la Cupola

Il Cenotafio in memoria delle vittime di Hiroshima, in prospettiva la fiamma perenne e la Cupola

Quasi si trattasse di due realtà parallele qui, a fermarsi in silenzio davanti alla fiamma perenne in memoria delle 350000 vittime dell’atomica, c’era un gruppetto di turisti americani, quasi sicuramente tutti sopra i 50 anni, persi dietro le parole accese e forti della loro guida. Qualcuno sorpreso nell’ascoltare le cifre di un’ecatombe, qualcun’altro commosso e visibilmente scosso, altri ancora con lo sguardo fisso sul Dome, lo scheletro della Cupola dell’Industrial Promotion Hall.

Non ho avuto reduci con cui parlare qui, mi é bastata l’esperienza dell’Hiroshima Peace Memorial Museum, i filmati, le foto agghiaccianti di quel che restava di un essere umano, di un abito, di un triciclo per bambini e l’orrore dei sopravvissuti, le malattie, l’agonia, la morte.

Hiroshima Peace Memorial Museum

Hiroshima Peace Memorial Museum

Hirsoshima Peace Memorial Museum. L'ombra sulle scale, tutto ciò che rimane

Hirsoshima Peace Memorial Museum. L’ombra sulle scale, tutto ciò che rimane di un uomo

Un percorso ad ostacoli, più emotivo che fisico, tra i simboli di un Hiroshima che va avanti ma che non dimentica, che non può dimenticare quel 6 agosto del 1945, come afferma composta una donna giapponese (sorpresa dal mio pianto improvviso suppongo, un’ingestibile reazione a tanto dolore, a tanto orrore) in piedi accanto a me in una delle sale del museo.

Hiroshima, la Campana della Pace

Hiroshima, la Campana della Pace

Ad una settimana esatta dalla mia visita in Giappone, all’interno dello stesso viaggio (un giro del mondo decisamente particolare), mi sono ritrovata seguendo un piano ben preciso ancora una volta alle Hawaii.

E ritornare a Pearl Harbor, con ancora negli occhi e nel cuore le immagini di Hiroshima, é stato inevitabile.

Ho attraversato tutti i luoghi della mia prima visita, ho ascoltato le ultime testimonianze dei pochissimi reduci ancora in vita, quelli che poco prima di morire chiedono di essere sepolti in fondo al mare, tra le lamiere arruginite dell’Arizona assieme ai loro compagni.

Ho rivisto le foto in bianco e nero, questa volta più lontane e sbiadite che mai, e sono finalmente riuscita a salire a bordo della USS Missouri, la Corazzata (posizionata oggi proprio di fronte al memoriale dell’Arizona, quasi un filo conduttore tra l’inizio e la fine della guerra) sulla quale fu firmata la Resa del Giappone nella Baia di Tokyo il 2 settembre del 1945, quella che sancì definitivamente la fine del secondo conflitto mondiale.

USS Missouri, il punto in cui fu firmata la resa del Giappone

USS Missouri, il punto in cui fu firmata la resa del Giappone

La USS Missouri, Pearl Harbor, Hawaii

La USS Missouri, Pearl Harbor, Hawaii

Ed alla fine di tutto ho riflettuto, ho ragionato e rimuginato su quanto visto ed ascoltato in questa sorta di viaggio nella storia.

Sui discorsi ed i racconti di chi non perdona (e proprio non riesce a farlo), di chi ha fatto ammenda ogni giorno della sua vita, di chi si impegna nel ricordo, di chi non c’era e sceglie consapevolmente di conoscere, di chi ancora troppo giovane preferisce non sapere, di chi incapace di guardare oltre ancora parla di colpe e di colpevoli (chi ha iniziato, chi ha fatto più vittime, chi lo avrebbe fatto comunque e si é servito di un pretesto, chi sapeva ma non ha fatto nulla per evitarlo, chi…), come se questo servisse a cambiare qualcosa.

Pearl Harbor, foto e persone del 7 dicembre 1941

Pearl Harbor, foto e persone del 7 dicembre 1941

Ed ho capito (perchè se il viaggio é scuola di vita, allora stavolta per me la lezione é stata di quelle che non si dimenticano) ripensando alle parole dell’uomo degli Origami incontrato ad Hiroshima ed osservando nei giorni seguenti i gruppi di giovani giapponesi giunti alle Hawaii per trascorrere le sospirate vacanze in compagnia dei coetanei americani, che non é più tempo di colpe e di colpevoli, di buoni o di cattivi (chi é capace in tutta onestà di farsi giudice e stabilirne le parti??), di rancori ed idiologie camuffate da discorsi inquisitori.

Scolaresche al memoriale, per non dimenticare

Hiroshima. Scolaresche al memoriale, per non dimenticare

E’ il tempo della consapevolezza, cruda e vera, che finchè ci sarà l’uomo esisterà sempre il pericolo della guerra, é il tempo di impegnarsi per evitare che questo accada ancora, é il tempo della scelta, onesta e difficile, di iniziare ad imparare dagli errori commessi, é il tempo della crescita, delle seconde ed anche delle terze possibilità.

E’ il tempo della speranza, piccola ma vivace, che nasce dai visi e dai discorsi dei giovani del mondo incontrati alle Hawaii.

 

10 Comments

  1. Anna ha detto:

    Wow senza parole, davvero toccante.
    Si avverte che questo “viaggio” ti ha emozionata molto

  2. dueingiro.blogspot.it ha detto:

    Non è da tutti andare in luoghi così lontani, almeno per noi italiani e così ricchi di storia. Bellissimo articolo, toccante.

  3. ester ha detto:

    questo post è proprio nelle mie corde. ..riesco a immaginare l’emozione che ti ha fatto sciogliere in lacrime. i tuoi racconti mi portano in posti che per tanti motivi ora non posso raggiungere ma amerei vedere…questi in particolare. thanks

    • Simona ha detto:

      Grazie Ester, al di là della grande passione per i viaggi, io amo la storia, specie quella del novecento. Per me raggiungere i luoghi teatro di grandi avvenimenti equivale a realizzare un sogno!!

  4. Antonella ha detto:

    Un altro itinerario incredibile, davvero suggestivo! Quante idee che mi dai;)

  5. Michela ha detto:

    Mi hai commossa e hai trovato delle splendide parole per parlare di tutto questo. Parole che a me ancora faticano ad uscire, a distanza di due anni dalla mia visita ad Hiroshima.
    A settembre sarò ad Okinawa, anche su alcuni luoghi dove la guerra si è svolta. Altri memoriali, altre parole, altre testimonianze. Che so già non riuscirò a raccontare.
    Quindi grazie di cuore, per averne parlato tu, in questo modo splendido.

    • Simona Sacri ha detto:

      Grazie a te Michela, non immagini quanto apprezzi questo commento.
      Le parole sono arrivate da sole, dopo aver vissuto un’esperienza che ha molto cambiato il mio modo di vedere le cose….

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